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Sulla “Questione Autogestione”

Sulla “Questione Autogestione” nella più famosa (a livello mondiale) città-vetrina dell’Elvezia meridionale.

Testo del 19 marzo 2021

Anno 1996 d.C.: il parco del Tassino viene sgomberato violentemente da parte delle forze dell’ordine in completo assetto d’assalto urbano. Scene che non si erano mai viste a Lugano prima di allora, in un contesto di repressione della socialità spontanea.

Anno 2021 d.C.: gli spiriti liberi si trovano in aree ben specifiche della città, soprattutto nelle ore notturne, formando assembramenti spesso giudicati “pericolosi” dall’opinione pubblica, piegata sotto il controllo delle misure anti-Covid varate dal governo federale.

25 Anni sono passati, il problema è rimasto lo stesso.

Possiamo focalizzarci sulle motivazioni che spingono la gente a fruire dello spazio pubblico per socializzare o possiamo osservare il fenomeno più da lontano. Viviamo tempi d’incertezza. Per i giovani la scelta su come impiegare il proprio tempo vitale è ridotta a tre ridicole alternative: studiare, lavorare o gingillarsi a spese dello Stato (o di qualcun altro che può mantenerli, eventualmente). Queste tre opzioni si basano su un solo punto comune: la produttività. Quindi, cosa resta dell’animo umano, del bisogno di vitalità che muove l’essere verso il confronto, la condivisione, l’esplorazione di ciò che sta oltre i confini della realtà imposta dagli sviluppi storico-antropologici predefiniti? Non ci aspettiamo che troviate subito una risposta, potrebbe volerci del tempo.

Non stiamo pianificando il presente, stiamo costruendo il futuro.

Un futuro in cui, se l’universo lo permetterà, vorremmo poterci sentire liberi di vivere la vita. Liberi di utilizzare gli spazi cittadini per attività sociali senza scopo di lucro, senza premeditazione, senza una figura legale “responsabile” disposta ad addossarsi ogni colpa in caso di inosservanza delle leggi e delle ordinanze varie, oggettivamente trascurabili in quanto non direttamente tutelanti la sicurezza dell’individuo. Il nostro diritto finisce quando inizia il diritto degli altri, e fin qui siamo tutti d’accordo. Il nostro dovere è quello di fare del bene, di rendere felici noi stessi e gli altri, di invertire la tendenza che ha portato questo pianeta – e i vostri “pilastri” previdenziali – sull’orlo della distruzione. “Fuga di cervelli dal Ticino”, leggevamo su un quotidiano non troppo tempo fa. Come meravigliarsi?

Parliamoci chiaro: non serve un solo spazio autogestito, ne servono tanti.

Il Centro Sociale nato a seguito dell’operazione repressiva nell’ottobre del 1996, con le sue varie sedi tra il centro cittadino e la periferia, ha dato una definizione di “autogestione” che si è ormai fossilizzata nella mente dei cittadini tutti. Una definizione spesso macchiata, agli occhi dell’opinione pubblica, dai “crimini” personali commessi da chi la sostiene e l’ha sostenuta durante questo quarto di secolo.

Attenzione: l’autogestione non si chiude dentro un centro sociale, così come non funziona soltanto il sabato e la domenica quando ci sono i sound systems che suonano a tutto spiano incuranti del vicinato che, contando le pecore, arriva ormai a 27 milioni prima di chiudere occhio.

L’autogestione vive dentro ogni individuo che usa il proprio pensiero per arrivare da qualche parte.
L’autogestione vive
nei gruppi che si organizzano per spezzare le catene dell’imposizione verticale.
L’autogestione è una pratica che permette a chi la osserva di entrare in connessione con il lato nascosto della socialità e non solo: il lato genuino, il lato naturale delle cose.

Morto un Centro Sociale, se ne fanno altri dieci. La città di Lugano, soprattutto dal punto di vista socioculturale, è abbastanza in ritardo sulla tabella di marcia. Pace e Amen. A noi non interessa sicuramente seguire lo sport a Cornaredo, così come non ci interessa pagare uno sproposito per vedere la solita compagnia teatrale “immanicata” esibirsi al LAC. Accettiamo queste cose, per carità, ma non riusciamo a capire perché l’intrattenimento di massa debba sempre eliminare le attività sociali e culturali “non commerciali”. Cosa sono lo smart working e lo smart studying? Non è grazie agli inglesismi che una cosa diventa “intelligente” e soprattutto “apprezzata”. Anzi, sembra proprio una cosa da “Sbroja”. Smettiamo di copiare Milano e miglioriamo la nostra Lugano, per favore.

Grazie per l’attenzione. Gli (A)rtisti Disoccupati.
19 marzo 2021